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Il colloquio in inglese, l’autista di Planck e la nonna di Einstein

8/10/2021

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Tempo fa ho letto una storia curiosa. Raccontava che nel 1918 Max Planck, dopo aver vinto il premio Nobel per la Fisica, girava per la Germania a tenere lezioni sulla meccanica quantistica. Il suo autista, a forza di assistere alla solita conferenza, l’aveva memorizzata e un giorno propose al suo datore di lavoro di scambiarsi ruoli: l’autista avrebbe tenuto la lezione e Planck si sarebbe seduto in prima fila vestito da autista. Con sua grande sorpresa, un po’ per noia e un po’ per gioco, Planck si prestò allo scherzo. Alla fine della conferenza tenutasi all’università di Monaco, un celeberrimo fisico fece una domanda e ricevette la seguente risposta: “La sua domanda è talmente banale che lascerò che sia il mio autista a risponderle.”
 
Se vogliamo, un colloquio di lavoro in inglese (e non solo) ha lo scopo di capire se i candidati possiedono “chauffeur knowledge” o “Planck knowledge” ossia se stanno recitando una parte ripetendo cose che hanno sentito o se conoscono davvero la materia discussa. Dobbiamo dunque aspettarci che chi ci intervisterà cercherà di prenderci in contropiede facendo domande fuori dagli schemi. Gli americani chiamano questa tattica “throwing a curve ball”, una metafora presa dal baseball che significa lanciare una palla ad effetto. Una tipica domanda “curve ball” potrebbe essere: “How would you explain the last major project you worked on to your grandmother?” (Come spieghereste a vostra nonna l’ultimo grande progetto al quale avete lavorato?). La logica dietro a questa domanda può essere riassunta da una osservazione fatta da un altro fisico famoso, Albert Einstein: “Non hai veramente capito qualcosa finché non sei in grado di spiegarlo a tua nonna.”
 
Nonostante non possiamo prevedere tutte le domande che ci verranno fatte, possiamo comportarci in maniera tale da migliorare le probabilità di passare qualsiasi colloquio di lavoro. Arrivare almeno dieci minuti in anticipo, vestirsi leggermente meglio di come pensiamo si vestirà chi ci intervisterà e lasciare che sia lei o lui la prima persona a parlare sono comportamenti che ispireranno fiducia in noi.
 
Invece, una volta cominciato il colloquio, cercate di adottare le medesime parole usate da chi vi intervista nelle sue domande. Questa è la tecnica conosciuta come mirroring ovvero specchiare. Ad esempio, alla domanda: “Where do you see yourself in five years’ time?” (Dove ti vedi tra cinque anni?), risponderemo: “In five years’ time, I see myself as …” (Tra cinque anni, mi vedo come…). Il mirroring è efficace perché le persone tendono a favorire chi somiglia a loro e perché i candidati possono prendere tempo per pensare alla loro risposta.
 
Il colloquio non è una conversazione tra amici e non è neanche parlare in pubblico. Diciamo che è a metà strada tra i due tipi di comunicazione. Questo vuol dire che dobbiamo parlare più lentamente del solito, dobbiamo dare il tempo a chi ci intervista di pensare a come le nostre competenze ed esperienze possano essere utili alla sua impresa o a quella del suo cliente.
 
A questo proposito, Robert Cialdini, uno psicologo esperto nelle tecniche di persuasione, suggerisce che all’inizio del colloquio i candidati facciano una domanda a chi li intervista: “Why did you think of me for this position?” (Perché avete pensato a me per questa posizione?). Lo scopo di questa domanda è di portare in superficie nella mente degli intervistatori gli aspetti positivi dei candidati, così che il resto del colloquio venga percepito attraverso questo filtro favorevole. In poche parole, questa domanda ricorderà agli intervistatori tutti i vantaggi di assumerli, mettendo in secondo piano eventuali lacune professionali o accademiche che possano emergere dal curriculum vitae o colloquio. Questa tecnica è nota come “pre-suasion” perché è una “persuasion” che avviene ancora prima che i candidati abbiano risposto ad alcuna domanda.
 
Infine, non mi resta che augurarvi “In bocca al lupo!” o come dicono gli anglofoni “Break a leg!”.
 
 
Aubrey Hill
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    Author

    Aubrey Alexander Hill nasce nel 1966 da madre italiana e padre inglese ed è completamente bilingue.
    Ha frequentato le scuole in Inghilterra e nel 1989 si è laureato alla University of London con un Bachelor of Arts (Honours) in Social Sciences e nel 1992 ha conseguito un Master of Business Administration (MBA) presso la Scuola di Gestione Aziendale dell'università Bocconi.
    Ha lavorato in Italia e all'estero per diverse multinazionali europee e americane in vari ruoli e dal 2014 aiuta studenti universitari e professionisti a comunicare in inglese in maniera più efficace.


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